Le coincidenze sono un fenomeno estremamente affascinante.
Non credendo a poteri sovrannaturali o ad un destino predeterminato, non posso fare a meno che attribuirle alla straordinaria capacità che ha la nostra mente di trovare associazioni e collegamenti ogni qualvolta ne abbia la possibilità.
Una attività spontanea che spesso avviene subconsciamente, le cui conseguenze possano però avere effetti molto concreti.
Spesso mi limito ad apprezzarle il sottile velo di ironia con cui il cosmo premuroso ricopre tutti, dai più attenti ai più distratti.
D’altronde, non posso fare a meno di ricordare gli innumerevoli episodi ove un dettaglio apparentemente insignificante, un’epifania istantanea, un momento di debolezza fulminante determinano il corso degli eventi futuri, senza che ciò sia stato pianificato in maniera razionale.
La spavalderia brillante e sincera, quasi umidiccia, delle di Marzo si frantuma il Lunedì successivo, trasformandosi invece una impotenza paralizzate molto più insidioso dello stereotipico sprezzo con cui il lavoratore si arma alla prospettiva di un inizio settimana carico di impegni. Devo riconoscere che alcune cose sono più forti di me. Sicuramente lo erano, e non credo di essere maturato abbastanza da liberarmene.
Le coincidenze non sono l’unica cosa che mi affascina.
Ammiro anche il cibo, come hummus e miele, una dolce e sapiente esposizione, la sincera scintilla di passione che non si può non condividere.
Ma, sopra ogni cosa, ho una stima incondizionata per la capacità di danzare armoniosamente con le parole, riuscire a volteggiare fra le righe con un’eleganza che lascia di stucco e che allo stesso tempo trapassa l’animo come una lama affilatissima.
È difficile distogliere lo sguardo ormai ipnotizzato dal testo, mentre la mente avida tenta di esplorare ogni possibile anfratto in quello spazio sapientemente disegnato con pennellate leggiadre e precise, senza però mai sapere se ci è riuscita davvero.
Il sublime, la passione, la potenza, l’espressività, l’interiorizzazione, la valvola di sfogo.
Tante parole, medesimo contesto, stesso fremito.
Poche sono le volte in cui l’insidiosa ombra della vergogna si è mostrata innanzi agli spessi salamini che indosso nolente. Un po’ perché sono palesemente sociopatico, un po’ perché è uno dei pochi vantaggi del mio caratteristico parlare poco. Nonostante questo, di castronerie ne ho dette, spesso dovute a quella mia malcelata reticenza ad accettare una guida che non sia la mia o, alternativamente, ad aver perso la pazienza di cui tento vado fiero. Sebbene roventi al solo pensiero, non saranno quelle parole a pesare di più sulla bilancia di Anubis. Lo saranno invece la frasi che, in minima parte, ho cercato di riassumere in questo testo, ma che non ho mai pronunciato. Un crimine che non prevede sconti di pena per buona condotta e che mi accompagna come un cane fedele, ma che non mi mostra la via.
Non voglio tirarla troppo per le lunghe. La stessa astrale coincidenza di allora si è ripetuta oggi (o ieri) e, ancora peggio di allora, so già che un approccio diretto non è un’opzione praticabile. Per cui canalizzo i sinceri complimenti e scuse tardive che una persona normale farebbe in maniera diretta in una missiva indirizzata ma mai veramente spedita, affidandone il destino al cosmo, che confido sappia come gestire (o non gestire) queste cose. Mossa da ignavo, ne sono consapevole. Quindi, dopo averla mossa nel mio percorso, non rimane che eseguire
Missiva > /dev/null