Bianco e nero possono essere utili per avere dei contorni, ma sono i grigi a dare colore alla scena.
Sebbene sia acclamata da molti, la serie anime Attack on Titan non mi aveva mai colpito molto. Ho visto le prime tre stagioni, ma senza prestare loro troppe attenzioni, più per rimanere a passo con le possibili discussioni fra amici. Le cose sono cambiate con questa quarta stagione, attualmente in simulcast, che, al contrario, mi ha catturato praticamente sin da subito.
Ci sono sicuramente diverse ragioni per questo, ma penso di averne individuato una molto interessante: la gestione del concetto di bene e male.
In tutte le storie c’è una qualche forma di conflitto, che giustifica il fatto stesso di star raccontando la vicenda, e spesso, nelle storie più grandiose, il conflitto è fra bene e male, giusto e sbagliato.
Questa dicotomia, spesso molto netta, non mi è andata mai giù. Ho la forte impressione che limitarsi a descrivere un’azione o un personaggio come completamente buono o cattivo non solo sia poco interessante narrativamente, ma mi aliena completamente da quel mondo, a discapito di qualsiasi tipo di immersione o sospensione dell’incredulità.
Il motivo è semplicemente che non credo una tale netta classificazione sia realistica, o addirittura possibile. Il mondo in cui viviamo si basa sui compromessi, sul soppesare le opzioni per scegliere quella il cui rapporto costo/benefici sia il più piccolo possibile. Non è realistico pensare ad una soluzione perfetta e che metta tutti d’accordo.
I motivi che sono riuscito ad individuare sono principalmente tre:
- Difficoltà nello stabilire cosa sia giusto e cosa no. Sebbene ci siano questioni su cui la maggior parte delle persone avrebbe un giudizio uguale, ve ne sono altre che dipendono fortemente dalla propria sensibilità, esperienze e conoscenze.
- È giusto che tutti possiedano (o non possiedano) le stesse ricchezze a prescindere da ciò che fanno o ai traguardi che hanno raggiunto O la ricchezza dovrebbe essere proporzionale a questi fattori?
- È giusto che un uomo che soffre molto a causa di una malattia considerata incurabile possa scegliere nel pieno delle sue facoltà di terminare la sua esistenza?
- Le circostanze fanno la differenza. Anche ipotizzando l’esistenza di azione assolutamente e universalmente giuste o sbagliate, queste sarebbero comunque dipendenti dalle circostanze e dal numero astronomico di variabili che le caratterizzano, e, escludendo la possibilità irrealistica di catalogare ogni possibile combinazione in maniera universale, si ricadrebbe comunque nel giudizio personale, che per definizione può variare da persona a persona.
- Anche ammettendo che tutti al mondo riconoscano l’azione di uccidere come sbagliata, questa potrebbe essere comunque giustificata in un’ottica di autodifesa? Quali sono i limiti perché ciò avvenga?
- Dove si collocano gli errori umani e le eventuali conseguenze, sia per chi lo ha subito che per chi lo ha commesso?
- Limitatezza delle risorse. Nulla nel nostro universo, e a maggior ragione sulla Terra, è infinito, a partire dal tempo. Il fatto che non si possa fare tutto, e non lo si possa fare contemporaneamente, porta inevitabilmente a fare delle scelte che devono scendere a compromessi con la realtà delle cose, e la cui bontà dipende dagli interessi e dagli ideali di chi le analizza, ma che quasi sicuramente scontenterà qualcuno.
- Qualsiasi politica perseguita da ogni tipo di organo decisionale appartenente ad una organizzazione, che sia una realtà piccola o una internazionale, difficilmente sarà definita giusta dalla totalità delle persone.
Come si può ben intuire, la conclusione a cui sono giunto è proprio quella che inseguire ideali di bene a male assoluto è semplicemente una fantasia che può solo appartenere a lavori di finzione.
Proprio per questo non posso che apprezzare lavori come questa stagione di ATO, Death Note, Parasyte o, il mio preferito, Psycho-Pass, per lascino all’usufruitore il compito di decidere da che parte stare, non nascondendo che qualsiasi scelta si compia ci saranno delle conseguenze che potrebbero essere poco piacevoli, ma fanno parte della nostra realtà.