Che sia la nostra eredità lasciata dopo la morte a giustificare il vissuto?
Messo in questi termini potrebbe sembrare un pensiero contraddittorio, ma non è sicuramente qualcosa di particolarmente originale. Al contrario, sento di poter dire che è un modo di dar senso alla propria vita piuttosto comune. L’idea di essere ricordati, di aver lasciato al mondo qualcosa che gli altri ricorderanno per i tempi a venire. Suona allettante, non è vero?
Non nascondo che sono il primo che, di tanto in tanto, sogna di veder il proprio lavoro riconosciuto, di avere la certezza di aver apposto un marchio indelebile sulla storia. Sicuramente è un ottimo modo per motivarsi a fare qualcosa di buono, di utile, di bello. Perché non approfittare di questo regalo che la mente, sempre tendente a lesinare, ci fa?
Mi domando, però, il perché di questa eccezione che mi sembri rientri in una regola più generale. Se in molti sono senza dubbio favorevoli ad acquisire e godere di quanta più ricchezza possibile durante la propria vita, dubito che lo stesso desiderio continui anche dopo la propria morte. Mi sembra anche naturale: nemmeno la persona più opulente potrà godere dei propri averi dopo essersene andata. Se non per la preoccupazioni, più che giustificabili, relative alla propria famiglia e ai propri cari, non credo a nessuno dovrebbe interessare cosa accadrà alle proprietà accumulate durante la propria vita.
Sembra che invece per la fama il discorso cambi.
Ho visto recentemente l’opera teatrale Hamilton, che mette in mostra l’incredibile volontà di Alexander Hamilton far vivere la sua legacy ben dopo la sua dipartita.
Si può dire che tutta la sua vita ha avuto quello scopo affrontando innumerevoli vicissitudini, mettendo tutto sè stesso in gioco.
Non è certo l’unico persona (reale o immaginaria) che ha avuto un obiettivo simile, con risultati più o meno luminosi.
Tuttavia non si può certo godere dei discorsi e opere celebrative, delle onorificenze dedicateci, delle statue e dei monumenti con le nostre fattezze o le vie e i teoremi con i nostri nomi.
Sebbene il principio sia apparentemente lo stesso, avverto comunque un valore intrinseco in ciò che ho appena descritto che non è facile giustificare a parole.
Forse è come la consapevolezza di aver lasciato qualcosa di cui altri potranno godere, di sapere, nell’ultimo istante, che i propri sforzi e sacrifici non sono stati invano.
Insomma, un modo per dare un senso alla propria vita.