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Indignazione forzata

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Una volta che trova un portatore ideale, l’indignazione sa diffondersi con estrema rapidità, anche laddove il terreno non dovrebbe esserle favorevole.

Cosa provoca indignazione in una persona? È molto difficile da stabilire, perché varia moltissimo con la sensibilità della persona in questione, i suoi gusti e i suoi valori.
Giusto per fare un esempio banale, è facile immaginare che una battuta che involga la morte di gattini non venga accolta dal plauso di qualcuno che adori gli animali.
Diventa quindi chiaro che fare una affermazione, anche e soprattutto se umoristica, che non offenda nessuno, diventa una partita di Shangai praticamente impossibile da vincere.

Se dici qualcosa che non offende nessuno, non hai detto niente

Oscar Wilde

Prima di proseguire, però, ci tengo a fare una precisazione: trovare qualcosa offensivo o di cattivo gusto, per quanto mi riguarda, è sempre e comunque legittimo, come lo è anche, però, pubblicare qualcosa che potrebbe non essere apprezzato dai più.

Ovviamente, solo perché una cosa non urta la sensibilità della maggior parte dei fruitori, non è garanzia del fatto che debba piacere a tutti. Ma è anche vero che la persona offesa potrebbe anche semplicemente, in maniera matura, riconoscere che la produzione in questione non è adatta a lei, senza per questo sminuirla o cercare a tutti la controversia.

Ho avuto occasione, recentemente, di osservare da vicino la meccanica che riesce a rendere controverse anche espressioni che, all’apparenza, non dovrebbero esserlo. Una volta che ci si è indignati per qualcosa, infatti, miglior il piano d’azione diventa quello di coinvolgere quante più persone possibile, spiegando per filo e per segno perché suddetta espressione dovrebbe indignare anche loro.

Ma consideriamo un attimo cosa motiva le persone a agire in questa maniera. Per come la vedo io, ci sono solo due possibilità: o sono davvero indignate e si sentono in dovere di far valere le loro ragioni, schiacciando il “colpevole” con la forza del gruppo, o semplicemente vogliono seminare zizzania, intenzione che, temo, sia di gran lunga la più diffusa.

Se consideriamo il primo gruppo di persone, trovo che il loro ragionamento sia fallace: prima di tutto, trovo esagerate le reazioni che accomunano molte di queste manifestazioni. Tutto questo astio, questa voglia di eliminare chi è colpevole di non pensarla come noi, sicuramente amplificato da internet, non solo spesso è controproducente, risultato in una pubblicità gratuita verso l’avversario percepito, ma sicuramente alimenta un clima tossico che non favorisce quello che altrimenti potrebbe essere un sereno confronto e impedisce che qualsiasi critica, anche costruttiva, giunga alle orecchie dell’autore.
C’è anche un’altra cosa che non mi va a genio in questo modo di agire: la presunzione di chi non si limita a trovare offensivo qualcosa, diritto inalienabile, ma che arriva a pretendere che gli altri la pensino come lui, pena essere additati la qualsiasi.

Paradossalmente, gli unici che comprendo sono coloro che agiscono per malizia: sebbene il loro intento sia discutibile, sicuramente agiscono coerentemente con quest’ultimo.