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Il Mio Obiettivo

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Ma, alla fine della fiera, qual è il mio obiettivo?

Più di tanti altri momenti della mia vita, mi trovo sempre più spesso a rivolgere a me stesso questa domanda.
Del resto, si tratta di qualcosa che si chiede spesso ai bambini: Cosa vuoi fare quando sarai grande?.
La verità è che non ci si libera mai dal quesito, anzi, probabilmente si fa sempre più pressante, man mano che cresce in ognuno di noi la consapevolezza del tempo come risorsa finita.

Non penso di aver mai avuto una vera risposta. La cosa preoccupante è che continuo a non averla. Se fin’ora me la sono cavata, con scelte, alla fine dei conti, poco impegnative, la cosa sta per cambiare.

Come ripeto spesso, e immagino ripeterò ancora un bel po’ di volte nei mesi a venire, sto raggiungendo la fine di un percorso durato cinque anni. In questo contesto, quello che vorrei evidenziare è il mio non avere ancora un piano ben preciso sul come proseguire nella mia vita.

Il problema è che non voglio nulla in particolare. Non mi sento di avere un obiettivo da realizzare, una meta a cui ambire.
Questo mi ha portato a riflettere più approfonditamente sul mio modo di agire e di pensare in tutte le vicende che ho affrontato fin’ora.

Perché ogni volta che si tratta di uscire con gli amici, invece che venirmi naturale, devo convincermi a farlo?
Perché d’estate rimango rintanato in casa mentre tutti gli altri passano i loro pomeriggi in spiaggia?
Perché, di tanto in tanto, non ho nemmeno voglia di sentire i ragazzi su Discord?
Perché continuo a torturarmi dando corda ad un amicizia che non mi stimola minimamente?
Perché ho smesso di giocare a D&D?
Perché sostenere la mia ex ragazza quando lei aveva bisogno di me è diventato, con il tempo, un peso sempre più insostenibile?
Perché non riesco ad essere orgoglioso di un mio risultato?
Perché, dopo aver lavorato sufficientemente su un progetto, sembra che questo mi venga a noia, e periodi di grande produttività e concentrazione lasciano spazio ad intervalli di completo stallo in cui solo l’idea di continuare il mio compito mi fa quasi venire la nausea?
Ma soprattutto, perché ripensando alle mie scelte a posteriori, spesso mi pento di averle fatte?

Inizio a considerare l’ipotesi che tutti questi comportamenti possano essere spiegati dal fatto che non mi è mai interessata nessuna di queste cose.
Persino il pentimento che provo non è dovuto al non aver fatto quella determinata cosa. Con ogni probabilità, mi sarei effettivamente annoiato o comunque non mi sarebbe piaciuto quanto l’alternativa.
Il problema è proprio questo.

Perché non mi piace/interessa niente?? Sembra davvero che le uniche cose che riescano a darmi una qualche soddisfazione siano i videogiochi e l’informatica, ma anche questi piacevolissimi passatempi finiscono per essere contaminati dall’onnipresente e soffocante sensazione di star perdendo tempo.
Tempo che dovrebbe essere dedicato chissà a che cosa.

Per quanto ricordo, il periodo in cui sono stato più sereno da quando i due anni di pandemia hanno distrutto quel poco che avevo costruito, è il primo periodo in cui sono stato fidanzato, prima che le cose andassero orribilmente storte.
Immagino che il motivo sia che ero riuscito a trovare un obiettivo da perseguire che riuscisse contemporaneamente a rendermi sinceramente felice.
Avevo una priorità, ed ero contento di dedicarmici.

Ora è tutto terminato.
Sarei un ipocrita a dire che non mi manchino anche gli aspetti più fisici della relazione, ma penso che quello che mi ferisce più nel profondo sia il buco nero che mi sono ritrovato dentro e che si ostina a non volersi colmare.
Adesso mi ritrovo in una situazione paradossale in cui anche il pensiero di provare ad iniziare a immaginare di cercare una nuova relazione mi sembra ingiusto ed egoista, senza contare le innumerevoli difficoltà legate alla mia persona e personalità.
Nonostante questo, ho la speranza, affine ad un drogato, che trovare qualcuno possa effettivamente migliorare la mia condizione. Ma, esattamente come chiunque affetto da dipendenza, ho paura sarebbe una soluzione temporanea e che non risolverebbe il problema alla radice, ammesso si possa fare.

Pensare di ottenere qualche forma di felicità con una ragazza mi fa anche pensare a quanto misero e ingrato possa essere nei confronti degli amici che continuano a starmi accanto. Per di più, ho paura che, passato un tempo sufficiente, anche lei faccia la stessa fine.
In realtà non mi sento di dire che non li apprezzi. So bene che sono fortunato, molto più di quanto non possa dire di esserlo la maggior parte delle persone, e un gruppo di cari amici è davvero solo la punta dell’iceberg.
Però non mi sento di dedicargli il tempo che meritano. Frequentarli assiduamente mi stanca presto, e ciò mi fa sentire in colpa.
Finisco persino per invidiare tutti i ragazzi, spesso etichettati come scansafatiche, che non fanno altro che uscire e divertirsi fra di loro, senza complicarsi inutilmente la vita.

Per finire, anche l’università sembra che mi coinvolga sempre meno. Nonostante il mio interesse per l’informatica sia rimasto invariato, non riesco più a trovare la stessa motivazione nello studio.
Immagino che, dopo aver visto anche solo in minima parte i meccanismi che si celano all’interno, tutto mi sembra più marcio e lento di quando avevo iniziato questa avventura. Ora, proprio perché non ho idea di quello che voglio e ogni cosa vale l’altra, sono sul punto di accettare un dottorato a Newcastle senza neanche essere particolarmente interessato.
L’unico motivo che mi spinge è la possibilità di lasciarmi fisicamente alle spalle questo posto, teatro di tristi fallimenti, gravi errori, dolorosa crescita personale, piccole soddisfazioni, tante esperienze fondamentali.
La speranza è sempre la stessa, quella del bimbo ogni volta che finisce la scuola corrente: provare a ricominciare da capo.