Le emozioni sono in grado di mettere in discussione il principio della conservazione dell’energia.
Il principio di conservazione dell’energia sembra essere una verità universale che caratterizza ogni aspetto della nostra realtà. Nella sua formulazione più semplice, afferma che l’energia in un sistema chiuso non si crea, non si distrugge ma si può solo trasformare.
Tuttavia, ragionare in termini di energia sembra non essere adeguato quando si parla di emozioni. Seguendo la fisica, ci si aspetterebbe che in seguito ad una azione provocata a seguito di un lavoro costato una quantità arbitraria di energia, l’emozione risultante sia paragonabile al costo necessario per produrla, e che questa a sua volta sia limitata nelle azioni che può causare dallo stesso limite energetico.
Non è però difficile pensare a situazioni in cui un’azione che richiede un piccolo dispendio di risorse, abbia una risposta emotiva decisamente fuori proporzione. In particolare, emozioni forti, come ad esempio amore, odio, rabbia, possono nascere da situazioni estremamente semplici, ma possono poi autoalimentarsi e crescere a dismisura, provocando invidia in tutti i fan del moto perpetuo. Le conseguenza di tali emozioni, magari coltivate nel tempo, possono facilmente avere un apporto energetico positivo molto maggiore dell’azione che le ha prodotte.
Per come la vedo io, ci sono solo tre possibilità:
- una qualche forma di energia potenziale, magari accumulatasi nel tempo, fa da riserva per le emozioni
- l’analisi che ho effettuato, fra le tante approssimazioni tipiche di un esperimento mentale, trascura fonti energetiche importanti, come l’alimentazione dell’individuo e il fatto che un’emozione può essere il risultato di una serie più lunga di azioni nel tempo, tutte che forniscono il loro apporto
- l’idea di applicare il principio di conservazione dell’energia a questo contesto è ridicola e dannosa per la sanità mentale