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I limiti del dibattito

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La dialettica privata dell’empatia e dell’umanità si tramuta un arido scambio di nozioni.

Proprio ieri, il 10 Febbraio 2023, è stato rilasciato pubblicamente il nuovo attesissimo videogioco a tema Harry Potter “Hogwarts Legacy”. Si tratta di un titolo atteso da molti, e uno dei motivi principali per tale hype è proprio l’essere estremamente fedele a quel mondo che, anni addietro, ha stregato milioni di persone con la sua magia, regalando loro emozioni che, con il tempo, diventano nostalgia.
Ma persino questo titolo tanto acclamato ha dovuto fare i conti con un po’ di rumorose controversie, perlopiù legate al nome dell’autrice originale della collana di libri, J.K Rowling. La scrittrice si è ormai guadagnata un odio viscerale da parte della comunità trans, e per estensione anche da parte di quella LGBTQ+, a causa di una serie di infelici affermazioni affidate a Twitter.

Tuttavia, ad aver colto la mia attenzione, non è stata la vicenda in sé, ma la discussione che è scaturita a riguardo, al solito, su @Spotted DMI.
In un ambiente che è, tutto sommato, piuttosto progressista e aperto nei confronti di persone della comunità LGBTQ+, si è scatenato un breve diverbio fra due ragazzi.

La discussione è nata proprio perché il primo ha proposto il dibattito civile come ottimo strumento per sensibilizzare tutti sulla questione, facendo conoscere anche a gente che non le affronta tutti i giorni le difficoltà con cui le persone trans convivono.
La risposta, da una persona che invece sembra essere interessata in prima persona dalla questione, è stata un sonoro rifiuto.
I motivi di tale scelta sono proprio il cuore della mia riflessione, e hanno avuto il merito di cambiare, almeno in parte, la mia visione sui meriti del dibattito a tutti i costi.

Parafrasando le sue argomentazioni 1, sembra che il punto centrale del problema sia che discutere con una persona che non è in grado di empatizzare con le sofferenze altrui, complice non l’averle mai dovute affrontare, sia poco produttivo. Dover difendere la propria tesi, giustificando di fronte ad altre persone le proprie sensazioni, sapendo di correre il rischio di essere giudicati per qualcosa di cui si ha ben poco controllo. Non sono questi i presupposti per avere una discussione proficua fra due parti.

Per poter interiorizzare meglio il problema, ho provato a trovare un parallelo che fosse più vicino alla mia realtà quotidiana, e forse ne ho trovato uno che potrebbe essere utile ad un sacco di persone come me.

Immaginate di essere persone con una forte passione per i videogiochi (ammesso che sia necessario uno sforzo di immaginazione).
Come reagireste se vi fosse proposto di discutere della vostra passione tramite un dibattito con gente che non si è mai avvicinata al medium? Secondo me, molto dipende dal tipo di folla con cui si ha a che fare, che mi sento di distinguere in 4 macro categorie. I nomi sono esemplificativi, non necessariamente rappresentativi. Penso siano utili per evocare delle emozioni istintive, traendo forza dai ricordi che molti, incluso me, hanno vissuto nel periodo della loro infanzia.

È banale osservare che il tipo di dibattito, ma anche la stessa voglia di intavolare una discussione cambia radicalmente a seconda del pubblico con cui si ha a che fare.

Personalmente, non proverei mai a convincere un gruppo di anziani a dare una chance ai videogiochi. Non perché sia gente stupida o malvagia, ma semplicemente so bene che sarebbe tempo perso. Non ha senso nemmeno rischiare di subire ripercussioni, quali ulteriori discussioni o guadagnarsi una brutta reputazione in una sfida che, tanto, non si può vincere.

Un discorso tristemente simile lo farei anche per gli adulti. Anche escludendo, un po’ ottimisticamente, una situazione di aperta ostilità, perché mi metterei a parlare della mia passione a gente che se ne interessa da un punto di vista puramente conoscitivo ed asettico? Magari in questo caso sarei più aperto a rispondere ad qualche curiosità o chiarire un’informazione inesatta, ma ammetto che non vedo la possibilità di condurre una discussione attiva, solo uno scambio di nozioni passivo e formale.
Per avere un dibattito proficuo, prima sarebbe necessario sanare tutta la differenza di conoscenze che intercorre fra un appassionato ed una persona che a malapena conosce il termine “videogioco”. Ci vorrebbe uno sforzo non indifferente da entrambe le parti per portare gli interlocutori allo stesso livello.
Come se non bastasse, è chiaro a chiunque abbia mai giocato che certe sensazioni, certe conoscenze, certe emozioni si devono provare in prima persona. Descriverle non renderebbe loro giustizia, anzi, rischierebbe di sminuirle.

L’unico caso in cui mi sentirei di aprirmi quasi senza riserve sarebbe avendo la certezza che gli interlocutori sono giovani, ancora meglio se coetanei. Con ogni probabilità non mi vedrò costretto a spiegare cose per me ovvie, perché lo saranno anche per loro. Potrebbe capitare che i generi che ci piacciono sono molto diversi fra di loro, ma anche in questo caso troverei in loro una persona comprensiva e rispettosa della nostra divergenza in fatto di gusti.

Di fronte ad un gruppo sconosciuto, che possiamo assumere avere una composizione omogenea, è così strano che qualcuno veda al dialogo come qualcosa di poco produttivo e, magari, anche di dannoso per la propria pace personale?

Mettere per iscritto questa discussione è l’ennesimo tassello che mette in dubbio la mia cieca fiducia nel dialogo come mezzo assoluto per la risoluzione dei conflitti e necessario in qualsiasi tipo di confronto. Sempre più spesso mi accorgo di come la dialettica, senza l’umanità, mostri il fianco ad errori di valutazione facilmente evitabili, come questo. Il ragazzo che aveva proposto il dialogo aveva probabilmente le migliori intenzioni, esattamente come me in tante altre occasioni. Solo che forse, stavolta, non avevamo la ragione dalla nostra.

La soluzione?
Non saprei.
Forse lasciare che la gente si goda i propri videogiochi in pace. Cercare di far sentire il nostro appoggio contro il giudizio impietoso di altre persone che non saranno mai in grado di empatizzare con qualcosa che non hanno mai provato in prima persona.

Sebbene sia una frase che non mi si addice molto, forse in questo caso la soluzione è accettare, non capire a tutti i costi.

Footnotes

  1. Messaggio 1, Messaggio 2