Quando l’opinione altrui prevarica il proprio diritto di scelta.
Sono propenso ad affermare che la tendenza a catalogare tutto lo scibile sia intrinseca nella natura umana. Ad ogni cosa con cui entriamo in contatto, infatti, assegniamo, consciamente o meno, un’etichetta, anche banale come “cosa che mi piace” o “cosa che non mi piace”.
Ovviamente ci sono esempi molto più complessi e strutturati che si potrebbero fare sull’argomento, come la complessa nomenclatura tassonomica o chimica.
Tuttavia, in questo caso il centro della questione non è la classificazione di una qualsiasi specie vivente, ma di una in particolare, l’essere umano.
E subito ci si inizia ad incamminare in un terreno irto di spinose questioni. Il motivo è ovviamente la sensibilità che, nel corso degli anni, si è sviluppata attorno a tematiche simili. Parlare di categorie ed etichette riferendosi ad un’altra persona viene facilmente tacciato di razzismo o pregiudizio, spesso senza nemmeno controllare se effettivamente il giudizio è meritato o meno.
Ma andiamo al nocciolo della questione. Concetti quale genere, e più nello specifico, identità di genere, hanno senso di esistere o sono solo dei costrutti sociali che vanno abbattuti al più presto?
Questa discussione, nata sul canale @Spotted DMI, mi ha portato a riflettere sulla questione, pur essendo molto lontano dagli ambienti attivisti di questo tipo. Sembra infatti che anche fra i più progressisti, come spesso accada, ci sia una frattura non indifferente che è stata portata alla mia attenzione quando è spuntato fuori il tema dei trans: una frangia di attivisti, infatti, invece di supportare caldamente chi si dichiara trans, come mi sarei aspettato, critica aspramente la scelta, che a loro dire nasce da un pregiudizio sociale che ci impone di vedere maschio e femmina come due cose separate, quando invece tale divisione non esisterebbe.
A loro dire, quindi, sentirsi maschio (e quindi volere un corpo che lo rifletta, anche attraverso un’operazione chirurgica) piuttosto che femmina sono affermazioni viziate da questa imposizione sociale ingiustificata.
Ed è da questa base che voglio far partire il mio ragionamento.
La prima considerazione è che, a differenza del sesso biologico, l’identità di genere è un concetto che è, per definizione, astratto e personale. “Sentirsi donna” o “sentirsi uomo” non sono affermazioni che è possibile analizzare scientificamente, perché siamo nel campo delle emozioni e dei sentimenti soggettivi, sui quali mi sembra davvero stupido mettersi a sindacare.
La discussione si potrebbe spostare quindi sul quesito “Cosa significa essere donna/uomo in questo contesto?”, un po’ come a dire “Se il concetto donna separata da uomo non esistesse, vorresti comunque esserlo?”.
Sebbene le parole “donna/uomo” esistono e indicano qualcosa di preciso, temo che in questo frangente si verifichi spesso l’errore di legarsi troppo ai termini e non al loro significato.
In questo caso, con donna/uomo penso si intenda più qualcosa di affine al significato di femminile/maschile. Il fatto che questa distinzione arbitraria non coincide necessariamente con il sesso di ogni persona dipende da secoli di tradizione, e che proprio per questo non si può sradicare dall’oggi al domani, come sembra qualcuno, ingenuamente e con un po’ di presunzione, sembra voler fare.
Potrebbe essere utile semplificare e paragonare il sentirsi donna/uomo al sentirsi nerd/sportivo o simili: sono etichette assolutamente arbitrarie che però racchiudono una serie di interessi comuni che permettono in primo luogo a se stessi di potersi etichettare e agevolano il sentirsi parte di un gruppo.
Su quanto questo sia giusto o sbagliato, mi sembra davvero superfluo argomentare, dato che mi sembra semplicemente il risultato della nostra natura.
Inoltre, mi viene da pensare che il sentimento che alimenta scelte comunque estreme come il cambio di sesso sia più profondo che quanto detto finora.
Del resto ci sono non poche persone che, pur etichettandosi in una maniera, hanno comunque interessi e opinioni differenti da quelle che ci si aspetterebbe, e lo stesso vale per ciò che è femminile/maschile. Ci sono tantissime donne che fanno cose considerate da maschi e viceversa, senza sentire la necessità di diventare trans, e non posso che immaginare che il numero continui ad aumentare con il progredire della società moderna.
A maggior ragione, mi viene difficile credere che si tratti solo di una imposizione dovuta ad un retaggio patriarcale di una società antica che fa sentire i propri effetti anche oggi. Non sono così ingenuo da affermare che non giochi un ruolo, semplicemente mi sembra poco onesto addossare ad esso tutta la colpa.
Sebbene possa sembrare campato in aria, penso sia anche il caso di fare un parallelo fra volontà di diventare trans e farsi un tatuaggio o un piercing. È chiaro che la scala delle due procedure è completamente diversa, ma hanno in comune il voler alterare il proprio corpo in qualche maniera.
Non c’è bisogno che la motivazione sia profondissima: ognuno con il proprio corpo è libero di fare ciò che gli pare, purché sia al corrente dei rischi.
Questo sindacare sulle scelte altrui mi sembra quanto più di retrogrado e anti-progressista mi venga in mente.
In realtà, potrei riassumere il mio punto di vista sulla questione con questa frase: quello che è davvero da evitare è l’imposizione dei propri ideali sugli altri. È comprensibile tentare di convincere qualcuno che ciò che si dice è giusto, ma ogni tentativo di convincimento deve comunque essere rispettoso e onesto.
Penso che quello che più mi da fastidio di tutti questi sedicenti social justice warriors è la veemenza tipica di chi è sicuro di aver ragione ed ritiene qualsiasi opinione diversa dalla propria completamente sbagliata senza possibilità di appello. Il modo perfetto di uccidere qualsiasi tentativo di avere una conversazione sensata e civile.